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Sentirsi insoddisfatti a livello lavorativo innesca numerosi risvolti che, a cascata  arrivano a toccare la vita in tutti i suoi aspetti, anche i più personali.
Se ci si pensa, l’ambiente lavorativo occupa per circa un terzo il tempo della tua giornata. Circa un altro terzo è dedicato al riposo notturno. Quindi ci si può rendere conto di quanto ciò che si vive e che si prova sul posto di lavoro meriti un’attenzione particolare.

Da cosa può nascere la sensazione di provare insoddisfazione lavorativa?

Nella mia esperienza ho potuto notare come questa crescente condizione sia frutto di un cambiamento imponente che, nel corso degli anni, si sta facendo sentire con ulteriore intensità e che sempre più si affermerà con determinazione: il valore umano.

Nei periodi precedenti, erano principalmente le motivazioni economiche che spingevano le persone ad essere più produttive a livello lavorativo: lo stipendio, il compenso, il salario. In questa fase storica, e per il prossimo futuro, tutto si gioca sulla valorizzazione del personale, come vero e essenziale propulsore che le aziende, sane e competitive sul mercato, possono mettere in atto.

Persone, quindi non risorse umane, che non si sentono accolte, valorizzate, ascoltate e comprese da superiori o titolari sono persone che se, si ritrovano a lavorare per il mero compenso monetario, non riusciranno più a cogliere il senso di ciò che stanno facendo.

Parliamo di un’insoddisfazione che sulla carta non esiste, che a livello razionale non è visibile, magari perché lo stipendio è molto buono e magari il lavoro non richiede particolare sforzo ma, ad un certo punto, tutto questo rischia di non essere più sufficiente.

Non è un caso che grandi aziende, si parla di multinazionali, hanno inserito nella loro gestione aziendale benefit che hanno come obiettivo il benessere dell’individuo, il supportare il tempo di qualità dedicato allo svago e al riposo, anziché richiedere ritmi serrati per aumentare le performance.
Ciò perché questi datori di lavoro hanno riscontrato che offrendo valore, accoglienza e ascolto ai propri lavoratori, le rispettive prestazioni, che sono ciò che permette alle organizzazioni di esistere e crescere, aumentano: le attenzioni ricevute permettono loro di esprimere al meglio le proprie potenzialità.
Un disallineamento di valori può avere implicazioni importanti perché, se da una parte il lavoratore ha bisogno di lavorare, dall’altra sente la necessità di sentirti compreso ma, soprattutto di potersi esprimere: quando ciò non avviene si può provare insoddisfazione.

Cosa si può fare, fin da subito?

Vorrei propore una nuova visione della parola insoddisfazione, una premessa verso la piena realizzazione, anziché il buco nel quale si è caduti, un passaggio naturale che consente di coglie la possibilità di cambiare. Si tratta di guardare oltre il muro, oltre l’insoddisfazione e vederla come un aspetto nuovo, anziché come un fallimento fine a se stesso. Solitamente tendiamo ad ignorare le sensazioni sgradevoli, nel goffo e vano tentativo di credere che non esistano o, peggio ancora, credere che sia normale provarle e che quindi ci si debba rassegnare.

Sono tre i primi passi da percorre per superare la situazione di insoddisfazione. Innanzitutto è determinante, anche se è difficile, ammettere a se stessi di essere insoddisfatti. Poi è necessario chiedersi, che cosa ci renderebbe soddisfatti, senza condizionamenti derivati da paure come il fallimento, il giudizio, il non meritare: e anche questo passaggio non è semplice. Infine bisogna agire andando nella direzione di ciò che realmente porta alla propria realizzazione.

Nel mezzo di questi tre passi si trovano  il tutto e il niente: sono sconvolgentemente semplici e al contempo estremamente articolati e non facili da mettere in pratica ma, la realtà è questa. Prima di parlare di argomenti complessi è bene quindi sincerarsi della bontà e solidità delle cose semplici come le proprie sensazioni, i propri piaceri, ciò che si desidera, in modo gentile e accogliente nei propri confronti, segno questo di estremo rispetto e valore che si riserva per se stessi.

Come ultima riflessione voglio portare l’attenzione su un aspetto che può portare ad agire. La propria insoddisfazione è appunto solo propria: non è della azienda o della persona per cui si lavora, non è “colpa” della società o del mondo in generale. Assumersi la sana responsabilità di questa affermazione significa intrinsecamente concedersi la possibilità di cambiare, in quanto ciò che proviamo e ciò che possiamo fare al riguardo dipende solo da noi. Contrariamente, credere di sentirsi insoddisfatti a causa di altro o di altri ci pone in una posizione di impotenza la quale porta, inevitabilmente, a non agire e a accettare malamente i tempi e i sogni di altri.

Daniele Romani

Author Daniele Romani

Verona, Italy - Aiuto le persone che si sentono insoddisfatte a scoprire come cambiare la propria vita acquisendo fiducia nelle proprie capacità e nel proprio sentire, per agire in modo concreto e autonomo verso la realizzazione personale. Mi sono laureato presso l’Università degli studi di Verona in Scienze Infermieristiche nel 2008. Coach Professionista (legge 4/2013) dal 2019 iscritto all’ Associazione Coaching Italia (A.Co.I) n 946

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