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Sono ferma davanti a un bivio, davanti a quella voce che mi dice: «Fallo». Molto spesso avrei voluto assecondarla, ma ho sempre rinunciato.

Rifiuto il mondo, la vita e anche me stessa. Ecco, l’ho detto, rinnego tutto. «Devi essere impeccabile». Appunto, devi essere quella che non sei. È questo quello che mi dicono. Ci sono giorni in cui sono separata dal corpo. Altri invece, che cerco di rientrarci come un ricercatore che tenta di scovare una piccola emozione. Ma in entrambi i casi, sto male con me stessa.

Mi aggiro sulla banchina della stazione deserta, con passo stanco, entro nei bagni pubblici, mi fisso allo specchio. Sotto quella frangetta di capelli dorati scorgo il mio viso bianco, smunto, divorato dalle orbite scavate, che quelle tetre occhiaie incupiscono in maniera mortuaria. È struggente, penso. Eppure se mi guardo indietro, ero una bambina gioconda. “Loro pensano a quello che vorrebbero, non a quella che sono”.

Uscendo dal bagno odo il fischio del treno, il sangue che scorre nelle vene, il cuore che va veloce, ho terrore, terrore di quei vagoni, ma li aspetto. È una vita che li aspetto. Li attendo da così tanto che ho dimenticato pure da quando.

Ma qual è il tuo male Beatrice? È la capacità di vedere la notte quando è giorno. O di vedere il giorno quando è notte. È questo il tuo male. Fai tutto al contrario, sei tutta al contrario. Abbasso gli occhi sulle gambe scarne, mi fanno tenerezza, allora porgo loro una carezza. Osservo le braccia smilze, usurpate da una mollezza che invade ogni singolo spazio, ogni singolo istante. I segni degli aghi, sono più turgidi della massa muscolare ormai inesistente. Forse non c’è più spazio nemmeno per un’altra dose. Come se un’altra dose, mi avrebbe salvato da chissà che cosa.

Non voglio udire più nulla, rimugino mentre mi trascino verso i binari come fossi lo spettro di me stessa. Sono così vigliacca che nemmeno la morte voglio percepire, oltre che la vita. Ora basta Beatrice, reagisci! Mi dice una voce dentro. Ma io non l’ascolto. Guardo avanti a me, e avanzo. Mi hanno detto che la droga serve a non sentire il dolore, con la conseguenza che quando finisce l’effetto, lo percepisci più di prima.

Dite quel che volete, ma non dite che non ne voglio uscire, perché io lo voglio, ma non ci riesco. Mamma, papà, ma non vi accorgete che questo è l’unico modo che trovo per dirvi che sono diversa da come mi volevate? Senza il vostro amore, io non vivo. Faccio un passo avanti, arrivo sul bordo della banchina, indugio un istante, poi salto nel vuoto.

Ora sono in mezzo alle rotaie, percepisco il treno che mi scuote. Eccolo, lo vedo, un piccolo puntino tra gli alberi ombrati dalla notte. Beatrice ti prego non farlo, mi dico, ancora incredula, ma decisa. Sono sola, come sempre. Allargo le braccia, come per accogliere la tanto agognata morte quando, indistinta, scorgo un’ombra. Mi irrigidisco. Oh cavolo!

Intravedo una donna che si accosta a un distributore automatico. È girata di spalle, e con movimenti lenti inserisce le monete, compra le sigarette, compra la sua morte. Io bramo che non si accorga, prego il treno che arrivi presto. Ma perché ci mette tanto? La donna schiaccia il tasto della marca preferita, mentre mi accorgo che con lei c’è una bambina che allarga le braccia, poi mi indica, come attratta da chissà che cosa. Ha l’iride così lucente che mi ci perderei dentro. Cosa crede che stia facendo? Mi domando. All’improvviso muove le gambette, corre verso di me, forse vuole giocare. Oh, Cristo Santo, ma che fa? Sei impazzita! Esclamo con il paradosso di darle della matta. Intanto il treno sfreccia, eccolo lo vedo, un mostro davanti a me. Oh, mio Dio! Ho paura!

Il macchinista sbraccia, si sforma, spalanca gli occhi, li appiccica sul vetro mentre aziona la leva del fischio che riecheggia per tutta la stazione. È la fine, mi dico, mentre la bambina è sul ciglio della banchina e la mamma se ne accorge e tenta di riacchiapparla. Ti prego, non farlo! Grido disperata. La piccola salta verso di me, mentre il treno arriva maestoso.

Sei un incapace. Le frasi di mio padre mi riecheggiano istantanee. Sento una rabbia che mi spinge a un senso di rivalsa. Prendo la bambina, l’afferro, la stringo e la trascino fuori dalle rotaie, mentre il treno sfreccia dietro di noi, e ci schiaffeggia col vento dirompente che alza. Non riesco a credere a quello che è successo, è come se uno sganascione improvviso mi avesse risvegliato da un brutto incubo. La mamma della piccola si accascia, la prende in braccio, la coccola, poi si accosta a me, con le lacrime agli occhi mi dice: «Grazie, hai salvato mia figlia». Mentre io, trepidante, scuoto la testa e le rispondo: «No, sua figlia mi ha salvata!»

Dopodiché m’incammino verso casa, “viva”. Mi dico che starò bene solo quando smetterò di cercare l’amore dove non c’è, solo quando smetterò di odiarmi, solo quando comprenderò che non possiamo cambiare le persone che ci hanno messo al mondo, ma possiamo mutare il vestito che ci hanno imposto d’indossare, e solo quando guarderò la società con distacco e leggerezza, perché in fondo, non è colpa di nessuno, se stiamo male.

Domani andrò in comunità, andrò a riprendermi la mia vita, e tornerò a essere come quella bambina.

Samuele Tofoni

Author Samuele Tofoni

Classe 1975, vivo e lavoro a Porto Sant'Elpidio; nel 1994 mi sono diplomato all'ITI di Fermo con specializzazione in telecomunicazioni, nel 2007 ha ottenuto il diploma triennale in Gestalt Counseling (Psicologia Umanistica) presso l'Aspic di Ancona e nel 2008, ho completato il corso in Counseling ad intervento Psicocorporeo. Sono stato tra i finalisti della sezione Romanzo Inedito dell'VIII edizione del Premio Letterario nazionale Streghe Vampiri e co, con l'opera dal titolo Karen. Sono arrivato al secondo posto del concorso letterario Idea donna, col racconto "A un passo dall'oblio. Nel 2019 ho pubblicato il mio romanzo d'esordio dal titolo Dimmi che cos'è l'amore. Nel 2020 ho vinto la pubblicazione col  racconto breve Sull'orlo, inserita nell'antologia Scrivendo Natale 2020.

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